Siamo nel momento dell’ultima cena. Gesù, a mensa coi suoi discepoli, ha appena lavato loro i piedi. Di lì a qualche ora verrà arrestato, condannato a morte, crocifisso. Quando il tempo si fa breve e si avvicina la meta, si dicono le cose più importanti: si lascia il “testamento”.
Il Vangelo ci parla della lavanda dei piedi. Ed è a questa luce che va compreso il comandamento nuovo. Gesù prima fa e poi insegna e per questo la sua parola ha autorevolezza. Il principio di amare il prossimo è sempre stato presente, fin dai tempi antichi. Ricorda “Ama il prossimo tuo come te stesso” nel Levitico. Ma Gesù ne mette in luce un aspetto nuovo, la reciprocità: è l’amore vicendevole che crea e contraddistingue la comunità dei discepoli.
Anche oggi le nostre associazioni e i nostri gruppi possono distinguersi dagli altri proprio per l’amore reciproco che li anima. In un ambiente dove la reciprocità è una realtà viva, si sperimenta il senso della nostra esistenza, si trova la forza per andare avanti nei momenti di dolore e di sofferenza, si è sostenuti nelle inevitabili difficoltà, si assapora la gioia.
Ogni giorno affrontiamo molte sfide: pandemie, polarizzazione, povertà, conflitti. Immaginiamo per un momento cosa accadrebbe se riuscissimo a mettere in pratica questa IDEA nella nostra vita quotidiana: ci troveremmo di fronte a nuove prospettive, il progetto dell’umanità si aprirebbe davanti ai nostri occhi, una fonte di speranza. Ma chi ci impedisce di riaccendere questa Vita in noi stessi e ravvivare intorno a noi rapporti di fraternità che si estendano a coprire il mondo?
Marta è una giovane volontaria che assiste i detenuti nel preparare gli esami universitari. “La prima volta che sono entrata in carcere, ho incontrato persone con paure e fragilità. Ho cercato di instaurare un rapporto prima professionale, poi d’amicizia, fondato sul rispetto e sull’ascolto. Presto ho capito che non ero solo io che aiutavo i carcerati, ma erano anche loro a sostenermi. Una volta, mentre aiutavo uno studente per un esame, io ho perso una persona della mia famiglia e lui ha avuto la conferma della condanna in corte d’appello. Eravamo entrambi in condizioni pessime. Durante le lezioni vedevo che lui covava dentro di sé un dolore grande, che è riuscito a confidarmi. Portare insieme il peso di quel dolore, ci ha aiutato ad andare avanti. A esame finito è venuto a ringraziarmi, dicendomi che senza di me non ce l’avrebbe fatta. Se da un lato era finita una vita nella mia famiglia, dall’altro sentivo di averne salvata un’altra. Ho capito che la reciprocità permette di creare relazioni vere, d’amicizia e di rispetto”[1]。
[1] Cf. http://www.unitedworldproject.org/workshop/unesperienza-al-di-la-delle-sbarre-relazioni-dicura-reciproca/