Ferdinando ha condiviso su WhatsApp un intervento di Papa Francesco dell’11 gennaio 2023 dal titolo: “La passione per l’evangelizzazione”. Riportiamo alcuni passi del discorso:

(…) “Possiamo chiederci: com’è il nostro sguardo verso gli altri? Quante volte ne vediamo i difetti e non le necessità; quante volte etichettiamo le persone per ciò che fanno o ciò che pensano! Anche come cristiani ci diciamo: è dei nostri o non è dei nostri? Questo non è lo sguardo di Gesù: Lui guarda sempre ciascuno con misericordia anzi con predilezione. E i cristiani sono chiamati a fare come Cristo, guardando come Lui specialmente i cosiddetti “lontani”.  (…) “Il nostro annuncio comincia oggi, lì dove viviamo. E non comincia cercando di convincere gli altri, convincere no: ma testimoniando ogni giorno la bellezza dell’Amore che ci ha guardati e ci ha rialzati e sarà questa bellezza, comunicare questa bellezza a convincere la gente, non comunicare noi, ma lo stesso Signore. Noi siamo quelli che annunciano il Signore, non annunciamo noi stessi, né annunciamo un partito politico, una ideologia, no: annunciamo Gesù. (…) quando voi vedrete dei cristiani che fanno proselitismo, che ti fanno una lista di gente per venire… questi non sono cristiani, sono pagani travestiti da cristiani ma il cuore è pagano. La Chiesa cresce non per proselitismo, cresce per attrazione.” (…)

Ed ora alcuni commenti/riflessioni condivise:

“…è quello che dovremmo fare tutti noi anche nei nostri ambiti! Attirare per quello che siamo. L’amore vince tutto! Tutto il resto sono contorni insignificanti” (A.)

“Sempre semplice ma efficace: sembra che sia uno fra la gente ……anche quando porge gli argomenti con visione evangelica”. (E. L.)

“Condivido profondamente lo spirito della catechesi. In termini logico-linguistici il discorso riguardo al proselitismo evidenzia una contraddizione insuperabile comunicativamente: per avvicinare gli uomini e le donne a Gesù l’Apostolo deve rivelare la fonte dei suoi comportamenti e la sua appartenenza.

È questa circostanza che “semiologicamente” rende incerto il confine tra testimonianza, spirito di servizio e proselitismo, che viene visto negativamente come una sorta di arruolamento, che considera il fedele un seguace.

Un agire totalmente anonimo aiuterebbe a superare questa impasse ma indebolirebbe la pratica vitale per la Chiesa della evangelizzazione che è quella di fare-innamorare l’umanità di Gesù.

Cerco di spiegarmi. Matteo ha con sé Gesù nel banchetto che organizza. In sua assenza (gli apostoli di oggi che annunciano la Sua Parola, che praticano dunque l’Apostolato per annunciare Gesù e dichiarare la propria appartenenza e adesione ai valori evangelici) deve ricorrere a segni (abito talare, ad esempio, o Saio come nel caso di San Francesco, eventi pubblici) gesti, parole e stili di vita che incarnano questi valori.

Dunque, in qualche modo deve far conoscere la fonte di tali valori nonché la ragione della sua adesione agli stessi. Nel fare ciò, nell’andare verso gli altri in sostanza deve indicare la fonte valoriale del suo agire e dichiarare la propria appartenenza alla fede cristiana. In questo dichiararsi inevitabilmente si annida un residuo di proselitismo insuperabile che va contro la volontà stessa di praticarlo e dell’annuncio che vieni fatto. È una condizione comunicativa insuperabile. Per evitare questo c’è solo una via di uscita: l’anonimato, vale a dire un cristianesimo praticato, diciamo così, in modo anonimo, deprivato dell’annuncio, che è ovviamente un non senso. Quello che ritengo sia centrale nella ri-evangelizzazione è la coerenza nei comportamenti di vita, nel praticare l’amore attraverso il soccorso e l’accoglienza, in quell’andare verso gli altri a volto scoperto senza enfatizzare o reiterare continuamente la matrice del proprio fare. Direi che l’Apostolato andrebbe praticato con una certa riservatezza e sobrietà(M.)