L‘idea di questo mese ci può dare uno spunto di riflessione su alcune delle difficoltà che possono sorgere nelle relazioni interpersonali, soprattutto quando non ci si vuole fermare a una frequentazione solo superficiale.
Da sempre, infatti, nei rapporti sociali esiste il dilemma: privilegiare l’amicizia o la verità? Molto spesso la vita ci presenta situazioni diverse che richiedono di fare delle scelte. Questo ci porta a soffermarci sul concetto di libertà. Le dinamiche sono complesse: anche in gruppi con esperienza consolidata di impegno e di reciprocità i cambiamenti non sono mai indolori. Con l’aumentare della conoscenza reciproca si conoscono meglio anche i limiti e i difetti delle persone, ma anche la “ruggine” di consuetudini non sempre corrispondenti ai valori originari intorno ai quali ci si era incontrati. Non si può escludere di trovarsi di fronte a comportamenti persino poco etici, immorali o di abuso della fiducia altrui.
Altrettanto difficoltoso può essere il confronto con opinioni nuove che mettono in discussione la tradizione: questo avviene anche nei nostri gruppi e comunità, dove l’atteggiamento di accoglienza degli “ultimi arrivati” può persino scandalizzare chi si ritiene migliore degli altri o depositario di alcune verità indiscutibili.
Di fronte a questi dilemmi, una possibile soluzione, forse l’unica davvero universale e autenticamente libera, è l’Amore: ci permette di accogliere tutti e costruire rapporti con ognuno, sempre più sinceri, di reciproca conoscenza e comprensione, fino a poter costruire anche un rapporto di verità e giustizia.
È fondamentale avere un’attenzione disinteressata verso il fratello debole, chi ha una coscienza fragile e poca conoscenza delle cose, al fine di poter sperimentare insieme la fraternità.
Chiara Lubich, recuperando le radici più profonde della sua ispirazione ci ricorda che a volte è meglio cedere le proprie idee per mantenere il rapporto di unità, “poiché è meglio il meno perfetto in accordo con gli altri, che il più perfetto in disaccordo”. Da una scelta coraggiosa di vita, spesso anche dolorosa e apparentemente di incomprensibile rinuncia alla propria libertà, possono nascere frutti inaspettati di rinnovamento e di crescita.
L’esperienza del vescovo Franҫois van Thuân, che trascorse tredici anni in prigione in Viet Nam, di cui nove in isolamento totale, testimonia che quando l’amore è vero e disinteressato suscita in risposta ancora amore, persino moltiplicato. Grande è stata la sua testimonianza: senza ribellarsi e “semplicemente” continuando a vivere secondo l’Arte di Amare (“tutti”, “sempre”, “nel dolore”, “condividendo la vita e le preoccupazioni dell’altro”, anche dei suoi carcerieri) ha potuto trasformare persino la terribile situazione del carcere.
Durante la carcerazione egli venne affidato a cinque guardie, ma presto i capi avevano deciso di sostituirle ogni due settimane con un altro gruppo perché esse venivano “messe in crisi” nel profondo della coscienza da van Thuân. Decisero alla fine di lasciare sempre le stesse, altrimenti lui avrebbe “contaminato” tutti i poliziotti del carcere. Così lui stesso racconta: «All’inizio le guardie non parlavano con me. Rispondevano solo sì e no. […]Una notte mi è venuto un pensiero: “Franҫois, tu sei ancora molto ricco, hai l’amore (…) nel tuo cuore; amali (…)”. L’indomani ho cominciato a voler loro ancora più bene (…) sorridendo, scambiando con loro parole gentili. […] Pian piano siamo diventati amici»
In prigione realizzerà con l’aiuto nascosto dei suoi carcerieri una croce che porterà al collo fino alla morte, simbolo dell’amicizia nata con loro. Alcuni pezzetti di legno e una catenella di ferro: tutto quello che aveva.